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Estratto da: MODUS VIVENDI -
Stili di vita - Musica -
Dai Genesis alla pizzica, la musica di Francesca Breschi -
01/11/2004   Guido Festinese
QUESTIONE DI TITOLI. Una visione olistica della musica, come fatto artistico e come evento fisico Italo Calvino scriveva, in una sua celebre descrizione dell’amore per la lettura, che ci sono libri che ti ispirano “una curiosità improvvisa, frenetica, e non chiaramente giustificabile”. A partire dal titolo. magari bastasse quello, oggi che quasi il cinquanta per cento degli italiani dichiara candidamente di non leggere neppure un libro all’anno, ma tant’è la frase è indovinata. E applicabile ad altri campi, sempre nel territorio delle cose che ci danno conforto, anche senza essere immediatamente monetizzabili: ad esempio la musica. Ci sono dischi che sembrano farsi avanti soloo con il titolo: non sappiamo nulla del contenuto, ma tant’è l’occhio resta incatenato alla copertina, le mani prendono a rigirarsi l’oggetto che ha “voluto” farsi vedere. Era successo ai tempi gloriosi del “Sergente Pepe con la sua banda di icuori solitari” dei Beatles, era successo con i “Topi caldi” del gran signore dell’ironia Frank Zappa, in tempi più vicini a noi ci ha incuriosito quel misterioso “O.K.Computer” che ha lanciato in orbita i dolenti e magnifici Radiohead. Per non parlare dei folletti islandesi Sigur ROs, che qualche tempo fa hanno affidato ad una semplice parentesi quadrata aperto e chiusa l’onere di intitolare un disco: suscitando legittime e belle curiosità. In Italia l’ultima curiosità “improvvisa, frenetica e non chiaramente giustificabile” attizzzata da un disco, almeno per chi scrive queste note, è arrivata con un sostantivo e un aggettivo accostati ad intitolare il lavoro di una cantante seria, brava, e tutt’altro che esposta allo sciocchezzaio delle televisioni e delle radio macina hit. Lei si chiama Francesca Breschi, il disco si intitola, semplicemente Canti Molesti (Nota Records, è distribuito dalla Materiali Sonori). Avrebbe potuto usarlo Fabrizio De André un titolo così. Perché dire “canti molesti” individua subito un territorio scomodo, forse urtante, ma non si lascia scoprire per intero. In altre parole, Canti molesti è una sfida sottile, invita a capire perché, in un mondo che sembra aver appiattito su deprimenti linee di consenso, anche musiche apparentemente irriducibili e ribelli, resti un fondo di senso da svelare. Poi mettete il disco nel elttore, lo ascoltate una, due, tre volte, ed il sensoo si svela: non c’è nulla di più molesto oggi della memoria, quella merce che viene considerata poco più che una zavorra per perditempo poco produttivi. Ecco allora comparire nel disco la durissima e intensa Una donna idi Giovanna Marini, la Morte di Clorinda di Monteverdi, sapientemente straniata e pure resa con rispetto assoluto. E, in mezzo, mazzzate emotive come Tutti i nomi di Giuda, Cometa rossa e Luglio Agosto Settembre (nero)dei magnifici Aresa di Demetrio Stratos, il gruppo che negli anni Settanta seppe abbattere ogni frontiera fra musiche che, ancora oggi, si guardano in cagnesco. E poi pizziche tarantate, frammenti quasi rap, aperture “ambientali” di misteriosa bellezza. un disco stupendo, ben cantato, ben arrangiato, ben suonato: lei, Francesca Breschi, dal ‘90 fa parte del Quartetto Vocale di Giovanna Marini, ma è attiva dal ‘78: nel teatro, nella musica elettronica, nella ricerca sulle note medievali, nel recupero dei canzonieri popolari. Non troverete il suo volto sulle prime pagine dei settimanali di tendenza, ed è perciò una piccola, voluta vendetta d’inchiostro regalare questo spazio di un giornale molto attento agli “stili di vita” ad un’artista che lavora sodo, e quasi nell’ombra. Quanto segue è un montaggio di dichiarazioni di Francesca Breschi. Nella speranza ceh si inneschi un proficuo passaparola fra chi davvero non ne può più della solita musica. “Ho scelto la parola canti per indicare un repertorio ampio, dove situare anche cose come Coefore, Il ritorno di un esiliato, o l’ultimo frammento di Monteverdi, che non si possono propriamente definire canzoni. Molesti perché non sono né vogliono essere “rassicuranti”, e parlano di un’ “altra via”, un altro approccio alla vita. Parlo di relazioini interpersonali e di percorsi culturali. Canti che sgorgano dalla lucida critica all’omologazione culturale di cui già parlava Pasolini: “molesti” per quella parte di mondo che pensa che tutto si possa comprare e che pensa di aver finalmente intorpidito le menti con la volgarità del pettegolezzo mediatico. bene, sappiano che non è così”. “Ho quarantaquattro anni e faccio parte di quella generazione che studiava su uno strumento classico Beethoven e Bach, che ascoltava Monteverdi, ceh contemporaneamente andava ai iconcerti dei Genesis di Peter Gabriel, dei Soft Machine, di Guccini, Cludio Lolli (della Marini con Della Mea e Pietrangeli!) delgi Inti Illimani, e poi si trovava in piazza a cantare e suonare le pizziche con gli studenti universitari salentini. Questi brani presenti nel cd sono legati alla mia vita in modo inscindibile. La voce è il mio strumento. La uso come uno strumento musicale e come mezzo per far arrivare attraverso la musica, idee e poesia. Anche in questo influisce la mia esperienza di vita: l’ascolto del melodramma, lo studio accanito dei repertori tradizionali, l’intenso lavoro in teatro, la muscia d’autore, fino al folgorante incontro con Giovanna Marini che mi ha “costretta” ad un enorme salto di qualità. Ho una voce con formazione classica, altrimenti alcune cose non riuscirei a farle, e col lavoro del Quartetto Vocale di Giovanna Marini ho sviluppato l’uso e la sperimentazione dei vari risonatori. Ho un’attenzione spasmodica ai passsaggi tra sistema temperato e non temperato, cioè ciò che si può cantare utilizzando solo i semitoni (come quelli presenti sul pianoforte) e quello che si può trovare in mezzo a quei semitoni, come capita nella musica di altre culture tradizionali e, cosa forse inaspettata per molti, riscontrabile sempre anche nella musica italiana di tradizione orale. Mi interessa sempre di più il contatto emotivo profondo con l’ascoltatore, non l’ostentazione vanitosa della bravura. Il canto è per me una necessità. La musica non è un’arte eterea e intangibile. La musica è un evento fisico ed intellettuale, e mi piace pensarla come un tutt’uno con l’universo, con la matematica, la letteratura, la pittura, la filosofia, i flussi del corpo umano e il movimento delel sfere celesti.”
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